È quasi primavera. Le giornate si allungano, le allergie dilagano, le violette occhieggiano civettuole dalle aiuole, l'aria è più dolce. Tempo di passeggiate, di vestirsi più leggeri, di picnic vittoriani in campagna.
Lo so, roba d'altri tempi. È primavera: stagione di mostre, allestimenti e inaugurazioni. Si torna non a passeggiare, ma a correre a perdifiato inseguiti da didascalie e prespaziati. Tutto e subito, niente e adesso.
Stiamo allestendo una mostra che inaugura la settimana prossima, e al solito siamo indietrissimo. Come sempre in questi eventi tutto rotola velocemente verso la data dell'inaugurazione e, senza sapere come, le cose magicamente vanno a posto quasi da sole. Ma quanta fatica, e spesso quanto spreco.
Abbiamo spessissimo la possibilità di ospitare mostre in palazzi meravigliosi, antichissimi, strabilianti. Palazzi che già da soli raccontano e trasmettono un miliardo di cose, e in cui spesso il contrasto e la contrapposizione che le mostre posso dare rafforza il fascino del luogo. Se solo si riuscisse una volta tanto a coesistere in modo intelligente con quello che ci ha preceduti, invece di volerci a tutti i costi sovrapporre nel modo più cheap. Se si riuscisse a creare degli interventi di contrasto efficaci, che rafforzassero l'allestimento senza snaturare il luogo, senza ricorprire tutto di teloni di plastica, piastrelle, pannellature e strutture mastodontiche che poi finiscono nella spazzatura.
Da quando ho iniziato a lavorare ad allestimenti di mostre mi sono reso conto di quanto la grafica possa essere detrito, sporco. Metri e metri di adesivi, prespaziati, pellicole, colle, robe appiccicose che lasciano tracce dappertutto. Non dico che non si debba vestire un evento, e neanche dico di non voler dare informazioni attraverso la grafica: a tutto questo andrebbe applicata una misura. E soprattutto un'originalità. È tanto difficile far esistere delle opere d'arte in quanto tali e lasciare che si esprimano al pubblico per quello che sono, senza sovrastrutture, senza i mille e mille giri di parole che mille e mille curatori elaborano? È davvero necessario apporre un cartellino a tutto? Didascalie anche sul silenzio?
Sarò forse il mio atteggiamento da visitatore delle mostre a condizionarmi: non sono una persona che quando va alle mostre legge. In genere sono sempre mosso dalla piacevole ansia di andare a "vedere" qualcosa. Vedere, punto e basta: il resto può venire dopo. Si progettano invece degli apparati dove il visitatore è letteralmente circondato da caratteri: le famose "scritte". Scritte: che incontrano i tuoi occhi ovunque tu stia guardando, che devono essere leggibili anche a chilometri di distanza, interi capitoli di libri riportati su parete, ingombranti, antiestetiche.
Perché dobbiamo sempre essere costretti ad assimilare una cosa invece di goderne, senza nessuna interferenza, magari nessuna parola?
Per una volta, proviamo a "guardare le figure" invece di leggere, così, tanto per cambiare.